Piani d’accumulo: il risparmio intelligente
A cura di BNP Paribas Asset Management membro di BNP Paribas Investment Partners
La crisi dei mercato del credito, esplosa nell’estate del 2007, rapidamente trasmessasi ai mercati finanziari in generale, e trasformatasi infine in vera e propria crisi economica, ha determinato un effetto domino arrivando, alla fine del suo percorso, a coinvolgere molti aspetti della vita delle persone: il lavoro, le decisioni d’acquisto, il risparmio.
In un clima di generale sfiducia, i risparmiatori hanno conseguentemente rimesso in discussione le proprie scelte d’investimento, abbassando drasticamente la propria propensione al rischio.
L’esperienza di questi ultimi anni conferma come l’emotività possa indurre scelte dettate alternativamente dall’euforia o dal panico (ingresso sui massimi e uscita sui minimi) che compromettono il rapporto dei risparmiatori con i mercati finanziari.
Infatti, in contesti come l’attuale, anche in presenza di quotazioni di mercato interessanti, i timori di sbagliare il momento dell’investimento inducono spesso all’immobilismo. Ovvio che il timing costituisca una componente fondamentale per la determinazione del risultato, ma non è sempre facile stabilire a priori il momento giusto.
La congiuntura attuale, insieme ad una sempre crescente attenzione verso una corretta pianificazione finanziaria (che ha tratto ulteriore impulso dal recepimento della direttiva Mifid nel contesto normativo italiano), ha focalizzato nuovamente l’attenzione sui programmi di investimento mirati alla realizzazione di obiettivi di accumulo nel lungo periodo.
Il “piano di accumulo” ha, nello sviluppo della nostra industria, una storia ormai lunga: come modalità di partecipazione è apparsa fin dai primi anni successivi alla legge istitutiva dei fondi comuni di investimento (l. 77/83). Si tratta infatti di uno strumento versatile, che consente di avvicinare al risparmio anche chi non dispone di somme elevate da investire, permettendo di modulare non solo la frequenza bensì anche l’importo dei versamenti.
Tra i vantaggi del PAC, quello forse maggiormente citato risiede nel realizzare l’acquisto di quote a prezzi diversi nel tempo, riducendo significativamente l’effetto del market timing e dunque la volatilità complessiva dell’investimento.
Senza pretesa di eccessivo rigore metodologico, un semplice esempio grafico può aiutare ad illustrare questo effetto. Se per comodità prendiamo in esame la serie storica dell’indice S&P 500 (tra i più “longevi”), possiamo per ipotesi comparare l’andamento di un piano di accumulo decennale rispetto al corrispondente investimento in unica soluzione dal dicembre 1972 al dicembre 1982[i]. Si tratta di un periodo contraddistinto da due shock petroliferi, durante il quale il mercato azionario americano è arrivato a perdere più del 45%, terminando con un risultato positivo di circa il 19%.
Su questo orizzonte il piano di accumulo ottiene risultati migliori di un “PIC” di ammontare pari al totale dei versamenti del piano (Fig.A). Ciò è vero sia che si consideri il PAC come strategia a sé stante, sia che si assuma la disponibilità iniziale del capitale, e dunque l’investimento delle somme in attesa di destinazione al PAC in uno strumento di liquidità[2]. Si tratta peraltro di una soluzione simile a quella in pratica spesso adottata da chi già dispone di un capitale allocato su attività finanziarie a basso rischio: in questo caso, allocando all’investimento più volatile la plusvalenza periodicamente maturata su quello conservativo, è possibile aumentare le potenzialità di rendimento del patrimonio senza metterne sostanzialmente a rischio il valore nominale.
Ma ciò che qui interessa è l’effetto di riduzione della volatilità che le strategie di accumulo consentono di cogliere: se, sull’orizzonte esaminato, si misura l’andamento dell’investimento in relazione al capitale versato (Fig. B), si può notare che il valore delle strategie PAC resta costantemente al di sopra delle strategie PIC. In altri termini, il “cost averaging” del piano di accumulo permette di ridurre il rischio di capitale nel corso dell’investimento.
Si tratta, come è ovvio, di un risultato connesso al periodo preso in esame: è evidente che in contesti di mercato contraddistinti da crescita sostenuta e relativamente stabile dei listini (si pensi al periodo ottobre 1990 – ottobre 2000) l’investimento in unica soluzione renda di più. Tuttavia, anche nella sfortunata evenienza di un progetto di investimento iniziato ad aprile 1999 (che avrebbe attraversato una sorta di “tempesta perfetta” segnata sia dallo scoppio della bolla tecnologica, sia dalla più recente crisi dei mercati) le strategie di accumulo avrebbero consentito di ammortizzare l’impatto delle crisi, pur realizzando un risultato negativo.
Per concludere, l’investimento ricorrente e pianificato di lungo periodo appare una soluzione appropriata nei periodi di elevata incertezza. Ad esso è tuttavia necessario affiancare una solida attività di consulenza che imposti correttamente la diversificazione del portafoglio: a tal proposito, appare utile che lo sviluppo di prodotto si orienti verso una sempre maggiore flessibilità dello strumento, al fine di permettere – anche per i PAC – sia un’allocazione efficiente degli attivi in funzione del profilo del risparmiatore, sia una maggiore convergenza verso l’obiettivo prefissato, prevedendo meccanismi di correzione dell’esposizione al rischio con l’approssimarsi della scadenza del piano.