Breve storia dei fondi comuni in Italia

Pubblicato il 26/1/2015

La storia dei fondi comuni di investimento, così come quella di ogni altra istituzione bancaria, finanziaria e assicurativa, affonda le proprie radici nella notte dei tempi. L’idea di investire collettivamente per diversificare il rischio, assumere le migliori risorse professionali e sfruttare le economie di scala nel processo organizzativo non ha visto la luce negli Stati Uniti con la crisi del ’29, come a volte si racconta. Laddove ha prosperato una classe media di commercianti e artigiani si trovano tracce di questa potente idea: unire i risparmi, affidarsi a investitori capaci e affrontare i rischi e le opportunità di un mondo incerto. Ma se avessimo percorso l’intera strada dall’origine di questa brillante intrapresa umana, non ne saremmo potuti venire a capo. Gli storici dell’economia hanno in parte sondato questo campo di ricerca, e una presentazione sintetica e stimolante si trova nel volume introduttivo “La Storia del Risparmio”, pubblicato lo scorso anno dall’Assogestioni. D’altro canto non avrebbe avuto senso appiattirsi esclusivamente su una narrazione dei tre decenni che hanno testimoniato lo sviluppo dei fondi secondo le forme giuridiche e finanziarie che conosciamo oggi, uno sviluppo che ha avuto successo in una società finanziariamente complessa e globalizzata. Sarebbe stata una storia senza profondità. Ci siamo così vincolati a parlare dell’Italia, ma in un lasso temporale che abbraccia tre generazioni. Credo che questa breve storia dei fondi comuni in Italia abbia individuato il giusto equilibrio tra il respiro storico e la concretezza delle forme istituzionali della gestione collettiva proprio negli anni della storia repubblicana. Non a caso l’articolo 47 della Costituzione Italiana, posto a tutela del risparmio, nacque su impulso di Tommaso Zerbi, che fece riferimento esplicito al modello dell’investment trust. In prima battuta, negli anni di uno sviluppo economico disordinato ma impetuoso che vide la forte crescita del paese nonostante un’offerta di servizi finanziari arretrati, alcune iniziative pionieristiche cercarono comunque soluzioni al bisogno di un investimento collettivo, importando le esperienze americane. Solo con notevole ritardo rispetto ai maggiori paesi europei, lo Stato intraprese l’apertura piena e convinta verso la modernizzazione del nostro quadro legislativo. Negli anni Novanta il paese ha poi affrontato l’internazionalizzazione del mercato dei capitali e, in un contesto già economicamente impervio, il risparmio gestito ha vissuto la prima fase di forte sviluppo, accompagnando il processo di convergenza nell’area dell’euro. I fondi comuni di investimento rappresentano nei paesi avanzati l’istituzione per sua natura più democratica e più vicina alle esigenze del risparmiatore. Entrati ormai nella maturità per esperienza professionale, per dimensione degli attivi gestiti e per ruolo di sostegno alle imprese, possono guardare con orgoglio al contributo che hanno saputo dare allo sviluppo economico e civile dell’Italia. Ma, se ci stacchiamo dai capovolgimenti del breve termine e assumiamo, come è nel nostro codice genetico, un’ottica di lunga durata, vediamo con chiarezza che il risparmio gestito non solo vanta una storia autorevole, ma è destinato a svolgere una funzione sempre più preminente nel nostro sistema economico. Desidero da ultimo, ma non da meno, ringraziare Alessandro Rota, che si è dedicato con passione e acribia alla stesura di questo volume, e tutti coloro che in ambito associativo e nel contesto più ampio della nostra industria hanno messo a disposizione analisi e idee ricche e stimolanti.

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