Pir, perché dal lancio sono il motore delle Pmi su AIM Italia

Pubblicato il 17/4/2020

Scattare una fotografia del recente passato per pensare e progettare il futuro dei Pir. È l’obiettivo dell’analisi svolta dall’ufficio studi di Assogestioni a partire dai dati relativi allo strumento raccolti nei tre anni dal lancio nel 2017 a fine dicembre 2019.

Lo studio prende le mosse dalla raccolta registrata nel triennio. Il 2017 dei Pir è stato un anno record: 11 miliardi di flussi netti di raccolta contro i 60 di tutto il mercato. Nel 2018, anno difficile con un’intonazione di mercato negativa misurata dall’andamento dell’indice FTSE MIB, i Pir hanno tenuto il passo segnando una raccolta positiva di 4 miliardi, mentre il resto del mercato segnava invece una raccolta negativa di 7 miliardi.

Il 2019 è stato un anno particolare perché caratterizzato da interventi normativi in contrasto con la norma originaria del 2017, che hanno di fatto reso inaccessibile l’investimento nei fondi aperti Pir-compliant esistenti fino a quel momento, con il risultato che gli unici ad avere possibilità di investire sono stati i sottoscrittori di Pir del biennio precedente.

Dinamiche risultate in una raccolta poco più che negativa, pur con l’intonazione positiva dei mercati globali in netta ripresa rispetto al 2018. Giova comunque ricordare che il mercato italiano dei fondi aperti nel 2019 è stato sostanzialmente piatto con 6 miliardi di flussi di raccolta positivi.

 

La conformità alla normativa 2020

A fine 2019 i fondi Pir-compliant sono 69 per 18,7 miliardi di euro di masse in gestione e rappresentano circa il 2% del mercato italiano dei fondi aperti.

Con riferimento alla conformità dei Pir esistenti ai vincoli introdotti a inizio 2020 con la normativa dei Pir 3.0 (in sintesi: 70% di strumenti emessi da emittenti italiani, di cui 25% da società non appartenenti all’indice FTSE MIB e 5% da società non appartenenti né al FTSE MIB né all’indice FTSE Italia Mid Cap), al 31 dicembre il limite del 70% è ampiamente superato: l’81% del portafoglio è investito in strumenti emessi da imprese italiane.

Per quanto riguarda i due sotto-limiti, quello del 25% è ampiamente superato con una percentuale del 55% e 7,2 miliardi di ammontare investito – 30 punti in più rispetto al limite imposto dalla normativa. Anche il limite del 5% viene abbondantemente superato: 16% e 2 miliardi di investimenti in imprese appartenente allo small cap, all’AIM e relativi a imprese non quotate.

 

Il portafoglio

Dove e come investono i Pir? Scomponendo il totale di 18,7 miliardi, 9 miliardi sono azioni emesse da imprese italiane, circa 6 miliardi sono obbligazioni corporate Italia, 3,6 miliardi sono altri strumenti – prevalentemente cash e titoli di Stato italiani.

Un’analisi dettagliata delle azioni detenute dai Pir mostra che su 9 miliardi domina la componente del mid cap (4,3 miliardi). A seguire abbiamo le società del Ftse Mib (circa 4 miliardi). Seguono poi small cap (505 milioni) e AIM (281 milioni). Residuale la parte di società non quotate, circa 70 milioni.

Situazione speculare se si prendono in considerazione i dati sugli investimenti in obbligazioni corporate. La componente principale sono i bond emessi dalle società del Ftse Mib (circa 4 miliardi). Al secondo posto troviamo la componente dei bond emessi da società non quotate, pari a 1,2 miliardi. Poi le obbligazioni emesse dalle società del mid cap (800 milioni). Del tutto residuale rispetto alla componente azionaria i bond emessi da società dello small cap, di fatto assenti quelle dell’AIM.

 

L’impatto su Piazza Affari

Qual è stato finora l’impatto dei Pir in termini di equity sul flottante dei singoli mercati azionari italiani? Questi fondi detengono 4,3 miliardi del mid cap, che rappresentano il 10% del flottante totale (45 miliardi). Sulle small cap detengono 505 milioni su 6,6 miliardi, pari all’8%.

Dato più interessante è sicuramente quello dell’AIM, il mercato delle Pmi ad alto potenziale: 281 milioni su 2,4 miliardi, pari al 12%. In base alla normativa europea, si definiscono Pmi quelle con meno di 50 milioni di euro di fatturato e fino a 250 dipendenti. Dei 281 milioni investiti in AIM, circa il 55% sono Pmi secondo questo criterio, il che significa che circa 150 milioni di euro di flussi arrivati alle Pmi dell’AIM sono direttamente riconducibili ai Pir. Numeri importanti per uno strumento nato tre anni fa, focalizzato solo sul perimetro italiano e con una forte incidenza dell’investimento azionario, lanciato con l’obiettivo dichiarato di contribuire al finanziamento delle piccole e medie imprese con un canale ulteriore a quello bancario.

 

AIM, boom di IPO nel triennio

I Pir detengono 34 milioni di euro di imprese quotate all’AIM nel 2019, suddivise tra SPAC e tradizionali. Esiste una correlazione positiva tra il lancio del prodotto e le quotazioni su AIM sia in termini di numero che in termini di flussi nei tre anni di vita dei fondi Pir. Dal 2017 si sono registrate oltre 80 IPO per un totale di flussi raccolti di circa 3 miliardi, a testimonianza di un forte interesse delle Pmi alla quotazione nel mercato delle società ad alto potenziale, e una grossa mano ai flussi arrivati è giunta dai Pir proprio nel triennio di vita. I Pir hanno reso più liquido un mercato dalla liquidità ridotta, e in termini di quotazioni ancora molto limitato, tant’è vero che nel 2016 le società quotate erano 77, mentre oggi sono 130 (dato al 16 marzo 2020).

 

La mappatura dei sottoscrittori

Sfruttando i dati relativi al quaderno di ricerca sui sottoscrittori di fondi comuni di diritto italiano, l’ufficio studi è in grado di estrapolare e studiare il campione dei sottoscrittori di fondi Pir (nota: il dato della rilevazione risale a dicembre 2018, ma alla luce dei flussi del 2019 la fotografia resta attendibile).

Un milione di italiani sottoscrive fondi Pir: un grande successo soprattutto se comparato con la previsione iniziale del governo Gentiloni, che nella sua relazione introduttiva allo strumento stimava in 180mila i risparmiatori che in due anni avrebbero sottoscritto fondi Pir.

Per quanto riguarda l’ammontare investito, alla luce dei limiti di investimento – un massimo di 30mila euro all’anno e di 150mila euro nei 5 anni in cui sono tenuti ad a non alienare l’investimento per accedere al beneficio fiscale – nei primi due anni il 65% dei sottoscrittori risulta avere investito fino a 15mila euro, mentre il 28% ha raggiunto quota 30mila euro. Solo un 6% per cento ha investito più di 30 mila euro sfruttando tutto il plafond disponibile nei primi due anni.

Di fatto l’approccio all’investimento in Pir da parte dei sottoscrittori italiani è stato graduale e cautelativo con un probabile utilizzo dello strumento dei piani di accumulo: dallo studio risulta che i risparmiatori si sono concentrati su importi piuttosto ridotti, tra i 5 e i 10mila euro, con un investimento medio di 12mila euro e un investimento mediano di circa 14mila euro.

Infine, il confronto delle caratteristiche anagrafiche dei sottoscrittori di fondi Pir rispetto al resto dei fondi mostrano una percentuale maggiore di maschi (56% contro 53%) e una tendenza all’investimento maggiore da parte dei sottoscrittori del Nord-Est (28% contro 25%). Per quanto riguarda le fasce di età, stabili le centrali mentre gli ultrasessantacinquenni – che guidano la classifica per quanto riguarda gli investimenti in fondi non-compliant con il 20% – decrescono al 14% per i Pir.

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