Galli: “Tassi zero, gestori e consulenti alla ricerca di valore in nuovi territori”

Pubblicato il 21/1/2020

Nella storia della finanza non era mai successo che si dovesse pagare per prestare denaro o per depositarlo in conto corrente: è il mondo alla rovescia dei tassi negativi.

Nonostante questa situazione così penalizzante, le famiglie continuano a detenere liquidità. Pur di non sentire parlare di perdite, i risparmiatori italiani – che la Consob attesta essere fortemente avversi al rischio – investono così proprio nella certezza di perdere soldi, lasciandoli su un conto corrente che viene eroso dall’inflazione e, in alcuni casi, dai tassi negativi.

I nostri risparmi dovrebbero garantire il futuro nostro e dei nostri figli, invece mentre l’incertezza e i bisogni di lungo termine continuano a crescere, i nostri investimenti si focalizzano sul breve periodo: una trappola da cui bisogna uscire.

Come? Abbracciando l’economia reale, investendo in nuovi mercati e nuove asset class.

Si tratta di una sfida che coinvolge l’intero Paese: tutto parte dal risparmio, cioè dai capitali necessari a costruire e rafforzare il complesso dei distretti industriali, finanziari e produttivi in cui si muovono le famiglie. Il Salone del Risparmio dedica proprio a questo argomento il titolo della sua undicesima edizione, che si svolgerà terrà a Milano dal 31 marzo al 2 aprile presso il centro congressi Mico.

Occhi puntati sul ruolo dell’industria del risparmio gestito nel sostegno all’economia reale dunque, in quanto solo questa prospettiva può generare rendimenti di medio-lungo termine. E resta più che mai fondamentale l’attenzione al risparmio responsabile e inclusivo, nonché ai temi dell’educazione finanziaria e alla finanza comportamentale. Ne parliamo con Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni.

“Visioni per un mondo a tassi zero: dalla liquidità all’economia reale” è il titolo dell’undicesima edizione del Salone del Risparmio. Quali sono i motivi di questa scelta? Come cambiano risparmio e investimenti nel contesto attuale?

Incertezza politica, appiattimento dei tassi di interesse, volatilità in aumento e livelli sempre maggiori di liquidità parcheggiati nei conti correnti che le banche depositano presso la Bce a tassi attualmente negativi: è questo l’ambiente in cui si muovono gli operatori del risparmio. Comprare un secondo immobile o investire in titoli di Stato non funziona più: bisogna investire in modo diverso, diversificare verso asset class anche meno liquide ma produttive. Diventa allora chiaro che aumentare il livello di educazione finanziaria e incentivare una corretta pianificazione sono obiettivi strategici per uno sviluppo davvero sostenibile dell’industria. 

Come si fa, concretamente?

Più che in ogni altro momento della nostra storia recente, la diversificazione deve essere il faro che orienta qualsiasi investimento. Chi non è abituato a investire in azioni deve affrontare quel segmento, chi non ha mai inserito i mercati emergenti in portafoglio deve farlo. Chi non ha mai considerato gli investimenti illiquidi nei mercati privati, mercati in via di crescita, deve cominciare a informarsi, ad aprirsi a nuovi paradigmi. Va da sé che la costruzione di un portafoglio dipende dalla disponibilità e dalle esigenze dei risparmiatori, ma ciò che è certo è che la politica dello struzzo – far finta di niente e tenere i soldi sul conto corrente – non solo non paga, ma erode rapidamente il patrimonio.

Che ruolo può assumere l’industria del risparmio gestito in questa fase di transizione?

Per i gestori la sfida è quella di condurre tanto i clienti quanto i consulenti verso nuove asset class, contribuendo alla costruzione di portafogli più diversificati e di prodotti che aprano le porte dell’economia reale. Possiamo e dobbiamo lavorare sul miglioramento della consapevolezza dei clienti attraverso l’educazione finanziaria, ma è evidente che la catena del valore della gestione si fonda su una evoluzione altrettanto importante sul lato della distribuzione e della consulenza, sottoposte alla sfida dei nuovi investimenti.

Quale valore aggiunto possono apportare i consulenti finanziari alla catena del valore del risparmio gestito?

L’industria del risparmio non è “self-directed” – i risparmiatori, da soli, non prendono l’iniziativa. Ecco perché per i consulenti finanziari risulta cruciale alimentare un rapporto di fiducia sulla base di competenze solide e della capacità di innovare, leve su cui fare forza per portare il cliente a capire e accettare il cambiamento. 

L’orizzonte di medio, lungo o anche lunghissimo termine è sufficiente per mitigare i rischi connessi all’investimento in uno strumento poco liquido, che investe anche nei mercati non quotati?

L’investimento nei mercati privati è molto diverso da quello in un fondo aperto tradizionale. Collocare strumenti ibridi e meno liquidi, che contengono elementi tipici delle gestioni alternative, richiede consapevolezza e il forte rapporto fiduciario a cui abbiamo accennato. Posto che ogni consiglio d’investimento deve essere calibrato sulla situazione reddituale e patrimoniale del cliente e declinato in base ai suoi obiettivi e alle sue necessità, è evidente che non c’è modo di eludere la sfida dei nuovi mercati. Oltretutto, l’allungamento dell’orizzonte temporale ha il beneficio di rendere l’industria più resiliente rispetto al ciclo economico. Un elemento che va in questa direzione sono i Pir, finalmente pronti a ripartire dopo lo stop dello scorso anno.

Sul rilancio dei Pir ci sono grandi aspettative, ma da soli possono bastare a collegare il risparmio privato all’economia reale?

Possono essere un’ottima base da cui partire per costruire un portafoglio dalle fondamenta solide e “liquide”, meglio diversificato anche verso titoli delle piccole imprese quotate sui listini alternativi di Borsa Italiana. Ma è più che mai urgente disegnare un incentivo fiscale che accompagni l’investimento anche verso i fondi chiusi.

Si riferisce agli Eltif?

Gli Eltif sono uno strumento che va sicuramente in quella direzione, ma non sono l’unico veicolo di investimento innovativo in forma chiusa. Serve ragionare su incentivi che prescindano da un strumento specifico, che abbraccino tutto ciò che è illiquido. È questa la prossima sfida tanto per l’industria che per il Governo italiano.

I rendimenti della previdenza integrativa sono superiori a quelli del TFR tenuto in azienda, eppure l’inclusione previdenziale di secondo pilastro è ancora relativamente contenuta. La crescita del welfare integrativo e quella degli investimenti in economia reale possono andare di pari passo?

Poco più del 20% dei lavoratori del settore privato è iscritto a uno strumento di previdenza integrativa: è davvero troppo poco. Purtroppo, lo sviluppo della previdenza di secondo pilastro non ha risposto alle aspettative. Bisogna dare spazio alla giusta combinazione tra scelte individuali e forme collettive di investimento e dobbiamo partire dalla deducibilità annuale dei 5.165 euro – i vecchi dieci milioni di lire – che sono fermi da quasi vent’anni. Quella cifra, da allora, ha perso oltre due terzi del valore: è la testimonianza dell'abbandono in cui versa la previdenza integrativa. Il risparmio di chi produce va incentivato, non solo a parole. Il sistema procede rapidamente verso una pensione pubblica puramente contributiva ed è evidente che bisogna dare alle persone la possibilità di integrare la pensione futura: ad esempio agevolando la trasformazione dei beni che si ricevono per via ereditaria – come quelli immobiliari – verso una previdenza integrativa diversificata. Servono incentivi che funzionino in casi specifici, che permettano di smobilizzare tutti i patrimoni improduttivi del Paese. E la produttività andrà sempre più a braccetto con la sostenibilità.

L’anno scorso avete posto al centro del Salone i criteri di investimento Esg. Un impegno che non si è certo esaurito.

Assolutamente: sostenibilità e inclusione sono le grandi sfide sottostanti a qualsiasi discorso sugli investimenti. Anche quest’anno al Salone il tema del grande valore che c’è nel fare innovazione sostenibile sottende tutti i percorsi di approfondimento. Queste tematiche rimarranno con noi per i prossimi cento anni. ci saranno segni concreti di questa centralità valoriale, ad esempio un progetto di forestazione che si lega alla forestazione urbana, che porteremo al Salone con un percorso ambizioso e immaginifico.

Tutto questo lo troviamo al Salone 2020?

Il Salone del Risparmio è tutto questo, e molto di più. Sette percorsi tematici, oltre cento conferenze in programma per un totale di oltre trecento relatori nazionali e internazionali. Il Salone garantisce una tale ricchezza di idee e di spunti che perdere anche solo uno dei tre giorni significa perdere un’occasione irripetibile di condivisione di idee e di valorizzazione personale.

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