La remunerazione dei prodotti di investimento e l'avvento della Mifid

Pubblicato il 15/10/2007

I prossimi mesi vedranno l'attuazione della direttiva MIFID, una direttiva che mette alla prova tutti gli attori del nostro sistema finanziario: le banche e le SGR, che non potranno far finta che tutto cambi perché nulla cambi e dovranno rimettere a punto l'intero modello di business; i regolatori, che rischiano di ottenere effetti indesiderati e distorsivi se non caleranno con molto pragmatismo i principi della direttiva in un tessuto finanziario bancocentrico e privo di una solida clientela all'ingrosso; non ultimi i risparmiatori, che si vedranno investiti da una trasparenza completa sulle caratteristiche dei servizi loro offerti e avranno molti meno alibi per giustificare cattive scelte d'investimento.

Ma in sostanza cosa significa per banche e promotori finanziari rimettere a punto il modello di business? Uno dei principi qualificanti della MIFID mira a regolare omogeneamente i comportamenti nell'offerta dei prodotti e dei servizi finanziari. Nonostante il lunghissimo dibattito a Bruxelles e il consueto ritardo nell'attuazione da parte delle istituzioni italiane, regnano ancora diverse incertezze interpretative. L'aspetto che potrebbe incidere maggiormente è quello relativo alle modalità di retribuzione dei distributori per il servizio di collocamento di prodotti e servizi di investimento.

Già in sede comunitaria si era innescato un intenso dibattito sul modello di remunerazione tipico del risparmio gestito. Quando un risparmiatore si reca in banca o incontra il proprio promotore finanziario riceve un servizio che, generalmente, non paga direttamente. E' il gestore del prodotto di investimento che remunera indirettamente tale servizio attraverso la cosiddetta retrocessione. Questo modello ha diversi meriti e tende ad allineare l'interesse del cliente con quello dell'intermediario. In primo luogo perché più l'investimento si apprezza, più il distributore guadagna. Infatti, le commissioni retrocesse, che sono fissate in termini percentuali del patrimonio gestito, seguono l'andamento positivo dell'investimento. In secondo luogo il venditore non avrà interesse a spingere il cliente a vendere e comprare ripetutamente, bensì resterà neutrale rispetto al numero delle operazioni eseguite. E ben sappiamo che in regimi di remunerazione per singola operazione l'intermediario inevitabilmente tende a generare transazioni più che a massimizzare i rendimenti.

Resta d'altro canto fondamentale il principio introdotto dalla MIFID che ad una remunerazione "di durata" debba corrispondere la prestazione di un effettivo servizio nel tempo. Questo imporrà ai distributori di affinare il processo organizzativo di prestazione di consulenza e informazioni al cliente nel tempo. Ma la retrocessione, se trasparente, è un elemento armonico rispetto all'obiettivo delle norme e dei regolatori di allineare gli interessi degli intermediari a quelli della clientela.

La MIFID non è nata con l'obiettivo di scardinare questo modello, bensì mira a favorirne lo sviluppo entro un quadro di regolazione rigoroso. Anche perché l'evidenza empirica ci mostra che in nessun paese del mondo si è sviluppato un mercato di consulenza finanziaria pagata direttamente dalla clientela cosiddetta "retail". I risparmiatori sembrano, infatti, preferire un pagamento implicito del servizio di vendita e di consulenza e sopportare commissioni di gestione più elevate. Qualcuno sostiene che si tratti di un comportamento legato all'inconsapevolezza e la direttiva MIFID, opportunamente, impone una trasparenza dettagliata di tutte le forme di remunerazione indiretta. Peraltro la trasparenza non ha effetti distorsivi e l'industria del risparmio gestito l'ha accolta con molta responsabilità anticipandone alcuni meccanismi - si pensi ai prospetti dei fondi comuni che da due anni già indicano l'entità della retrocessione ai collocatori.

Della delicatezza di questi meccanismi si è reso ben conto anche il regolatore europeo, che ha avuto il merito di accogliere alcune importanti modifiche suggerite dall'intera industria europea durante la consultazione dello scorso inverno.

Cosa ci possiamo ora attendere dal regolatore nazionale? In primo luogo che chiarisca rapidamente come i principi della Direttiva si caleranno nel nostro tessuto finanziario, dove grande sviluppo hanno avuto le gestioni individuali, anche per patrimoni di entità limitata. Le gestioni in fondi rappresentano, infatti, una forma di investimento paradigmatica e tipicamente italiana che ha consentito di realizzare investimenti ben diversificati prima dell'avvento dei fondi di fondi. Inoltre, costituisce il principale servizio di diversificazione verso fondi di terzi anche grazie ai meccanismi di remunerazione praticati.  

In attesa delle comunicazioni che la Consob dovrà emanare, si respira la forte preoccupazione che interpretazioni schematiche del testo comunitario rendano impraticabili proprio alcuni di quei meccanismi di remunerazione duratura che sono non solo virtuosi se ben regolati, ma che risultano preferibili per la maggior parte dei clienti.

Qualora il modello di remunerazione giudicato conforme alla direttiva imponesse indiscriminatamente un pagamento diretto della consulenza, si rischierebbe di spingere proprio la clientela meno accorta - e quindi impreparata a sostenere un costo esplicito per tale servizio - verso prodotti finanziari ancora opachi, tipicamente le obbligazioni bancarie strutturate.

Con buona pace dello spirito della MIFID.

Fabio Galli

Direttore Generale di Assogestioni

(da il CorrierEconomia di lunedì 15 ottobre 2007)

Leggi Anche